Santuario Madonna di Loreto - GROSCAVALLO (TO)
Accesso: Da Torino si raggiunge attraverso la direttrice Venaria – Lanzo – Germagnano –
Pessinetto. Lasciato a destra il bivio per la val Grande, si continua in direzione di Ceres, e, senza raggiungere
il paese, si devia ancora a destra proseguendo per Cantoira, primo paese significativo della val Grande. Di qui,
passando per Chialamberto e Groscavallo, in circa 15 Km si raggiunge Forno Alpi Graie. Il santuario è posizionato
fuori dal paese e può essere raggiunto, nel suo ultimo tratto, solo a piedi, mediante una lunga scalinata di 444
gradini che un tempo molti pellegrini salivano inginocchiati, o per una stradetta pedonale (Km 75 complessivi).
Scala santa negli anni 50
Collocato tra i boschi, a ridosso di un costone montuoso, il santuario sorse a seguito di una apparizione mariana,
avvenuta negli anni della grande epidemia seicentesca di peste (e raccontata in riquadro), in sostituzione di una
piccola edicola eretta dal valligiano cui la Madonna era apparsa: Pietro Garino.
La cappella che costui aveva fatto costruire a sue spese nel 1630, infatti, risultò ben presto insufficiente per
la grande e continua affluenza di pellegrini che volevano recarsi sul luogo del miracolo. Nel 1757, allora, si
iniziò a costruire il santuario oggi esistente, progettato dagli ingegneri luganesi Francesco Brilli e Giovanni
Battista Gagliardi, che fu terminato solo nel 1869 da Luigi Baretta, realizzatore della facciata. Nel 1940, infine,
vi fu aggiunta la casa del pellegrino, per dare ospitalità (data la disagevole raggiungibilità del luogo)
alle persone ed ai gruppi che si recavano sul luogo.
La grande affluenza di pellegrini, fin dai primi anni della sua fondazione, ha fatto sì che la chiesa possa
disporre oggi di un immenso patrimonio di quadri votivi ed ex voto (per lo più appesi alle pareti), i più antichi
dei quali risalgono al XVIII sec. In essi la Madonna viene raffigurata principalmente come la Vergine di Loreto ma
anche come Ausiliatrice, Addolorata o come la Consolata di Torino.
Attentato al giudice di Ceres Vittorio Badini Confalonieri 1835
Esternamente il complesso, assai massiccio, si presenta nella struttura classica che caratterizza gli edifici
religiosi della montagna piemontese del ’700, con facciata suddivisa verticalmente, portale sormontato da piccola
ghimberga. Il campanile, appoggiato sul lato destro è basso, lineare e non fondato a terra, bensì sulla struttura
stessa.
All’interno, da segnalare, oltre le già citate 300 tavolette votive, l’altar maggiore in avorio e noce indica,
che reca al centro (tronetto) la statua lignea della Madonna nera con Bambino. Questa statua, purtroppo recente,
è stata scolpita dall’intagliatore Raimondo Santifaller di Ortisei, in sostituzione della raffigurazione originale
della Madonna Nera, rubata nel 1977.
L’altare, dopo lunghe ricerche, è stato recentemente (2016) attribuito dall’ebanista sabaudo Luigi
Prinotto. Commissionato all’artigiano reale nel 1723, era in origine destinato alla cattedrale di S. Eusebio a
Vercelli, ove avrebbe dovuto ornare la cappella dedicata al beato Amedeo di Savoia. Tuttavia, in seguito a
contrasti tra i canonici della cattedrale vercellese, l’altare finì alla Reggia di Veneria, nella sacrestia
della Chiesa di S. Uberto. Ad inizio `800 però (data presunta) fu trasferito a Groscavallo ove i primi documenti
che ne attestano la presenza, risalgono agli anni `40 di quel secolo.
La leggenda della fondazione del santuario di Groscavallo
Per quanto posti a discreta distanza tra di loro, questo santuario ed il M.te Rocciamelone, massima elevazione
tra le valli si Susa e di Viù, hanno tra loro un forte legame.
La sua storia infatti, ha inizio nel 1629 quando il torinese Pietro Garino ed altri due suoi compagni, ascesero
in pellegrinaggio il M.te Rocciamelone, ove sorgeva una chiesetta fatta erigere da Bonifacio Rotario d’Asti che,
nel lontano 1358, aveva salito quella montagna allo scopo di sciogliere un voto. Il voto di Rotario riguardava
la sua guarigione dalla terribile peste nera del 1348 ed allo stesso modo, il Garino, stava salendo il monte
per chiedere alla Madonna, cui la montagna era intitolata, la grazia di scampare dalla terribile epidemia di
peste (rossa) che proprio in quegli anni stava cominciando a serpeggiare in Europa. Giunti alla cappella che
custodiva l’icona della Vergine, portata da Rotario, il famoso Trittico del Rocciamelone oggi conservato al
Museo diocesano di Susa, i tre rinvennero due quadretti raffiguranti la Vergine di Loreto e San Carlo
Borromeo. Dal momento che i quadri risultavano deteriorati per le intemperie, in quanto erano stati trovati
all’aperto, Garino pensò di portarli a Torino e restaurarli, per poi riportarli sul Rocciamelone l’anno
successivo. Così in effetti accadde: l’uomo, torinese originario di Forno Alpi Graie, tornò nella sua città ed
affidò ad un pittore i due quadretti. Nel 1630 la peste dilagò anche in Piemonte e Garino, preoccupato per la
salute sua e dei famigliari, cercò scampo nel suo luogo d’origine, a Forno. Un giorno, però si ricordò dei
quadretti e tornò a prenderli a Torino e, tornatone in possesso, li mise in una cassapanca, in attesa di
riportarli ove li aveva presi.
Un giorno di settembre si recò a raccogliere foglie secche per la lettiera delle vacche nel vicino vallone di
Sea, proprio dove oggi sorge il santuario e guardando in alto, vide i suoi due quadretti sui rami di un
albero. Si inginocchiò, iniziò a pregare e subito, su di un sasso, gli apparve la Vergine, tra due donne, che
gli raccomandò di essere più timorato di Dio e soprattutto di far sì che anche i suoi compaesani lo fossero. In
questo modo ella avrebbe potuto far rifluire l’epidemia che stava infuriando. Non creduto dal parroco don Teppati
e dai compaesani, Garino chiese al sacerdote di celebrare una messa sul luogo dell’apparizione, promettendogli
che avrebbe portato i quadretti. Tornato a casa notò che erano nuovamente scomparsi, ma nel frattempo erano
stati notati da qualcuno sulla rocca dell’apparizione della Madonna. A quel punto la gente credette e
spontaneamente formò un corteo processionale diretto al luogo in cui i quadri erano stati ritrovati. Il giorno
seguente Garino rilasciò una dichiarazione di tutti gli eventi davanti a 22 testimoni di Groscavallo e al notaio
di Monastero che stese l’atto pubblico. Quello stesso anno Pietro Garino fece costruire sul luogo una piccola
cappella per conservare i quadri che si trovano ancora oggi al santuario, che in seguito fu innalzato, conservati
in un apposito reliquario.
©PIEMONTESACRO.IT. Tutti i diritti riservati.
Testo e foto di Gian Vittorio Avondo.
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