Abbazia dei Santi Nazario e Celso a San Nazzaro Sesia
San Nazzaro Sesia è un piccolo comune (conta poco più di 700 abitanti) che sorge nel territorio pianeggiante
compreso tra i fiumi Sesia e Ticino. Una zona fertile e irrigabile, dunque vocata alla produzione agricola, e ciò,
unitamente alla posizione strategica per il controllo dell’accesso alla val Sesia e ai valichi alpini, ne fece un
luogo molto appetibile fin dal Medioevo. Il territorio della Biandrina " così veniva chiamato il feudo dei signori
di Biandrate di cui anche San Nazzaro Sesia faceva parte " divenne terra di scontri tra i potenti comuni di
Novara e Vercelli con pesanti conseguenze sulla popolazione che viveva ai limiti della pura sussistenza.
Fin dall’epoca longobarda, il territorio era stato suddiviso in grandi "comitati", ognuno dei quali era appannaggio
di un signore locale, come i Biandrate appunto, ma fin dalla fine del primo millennio, anche la Chiesa organizzò
il territorio suddividendoli in "pievi". Alle chiese a cui facevano capo ognuna di queste unità religiose venne
riconosciuto il diritto di "decima", una tassazione che cominciò ad arricchirle tanto da trasformarle, già
nell’XI secolo, nelle maggiori potenze economiche presenti sul territorio.
È dunque in questo contesto storico che tra il 1040 e il 1053 il Vescovo novarese Riprando, unitamente ai conti
di Biandrate membri della famiglia cui egli stesso apparteneva, decise la costruzione dell’Abbazia dei Santi
Nazario e Celso.
Sebbene l’Abbazia fosse stata affidata ai benedettini, il diritto di decima sui terreni di
pertinenza rimasero ai Biandrate. E non si trattava di introiti di poco conto poiché, oltre ai prodotti agricoli,
la tassa si pagava anche per l’utilizzo di un guado sul fiume Sesia che si trovava vicino al Monastero.
Si trattava di un vero e proprio "monastero di famiglia", un tipo di fondazione ecclesiastica piuttosto diffuso in
Piemonte nei secoli XI e XII, analogo a quello del "monastero privato" ma caratterizzato da un legame meno stretto
tra la famiglia fondatrice (i conti di Pombia, poi Biandrate) e l’istituzione religiosa.
Come detto, la situazione del territorio era alquanto instabile e pericolosa e nel ’200 l’Abbazia, caso piuttosto
insolito per i complessi di pianura, venne fortificata cingendola con un fossato e mura irrobustite da possenti
torri angolari, trasformandola così in ricetto per i borghigiani. Qui, il massiccio campanile, oltre a svolgere
funzione difensiva, rappresentava anche l’ultimo, estremo ricovero in caso d’assedio.
Ancora oggi, attorno al complesso sono identificabili parti di mura che lo circondavano e resti di 3 delle 4
torri angolari che si ergevano ai vertici del suo perimetro.
Presso l’Abbazia esisteva anche un hospitalis per viandanti e pellegrini, dotato di autonomia, il che dimostra
come il monastero fosse un’importante punto di sosta lungo uno dei cammini di pellegrinaggio tra Roma e Santiago
di Compostela.
Vera e propria "curtis", l’abbazia fu dotata di numerosi beni e nel tempo divenne così potente da affrancarsi
addirittura sia dal potere del comune di Novara, sia da quello della diocesi di Vercelli. I suoi numerosi
possedimenti si estendevano nella pianura, in Valsesia e arrivavano fino al Canavese ed erano suddivisi
in "celle", vere e proprie strutture indipendenti, staccate dal monastero e amministrate da un funzionario,
agli ordini dell’abate, detto "prior", "rector" o "praepositus". Questa efficiente organizzazione e il vasto
patrimonio accumulato permisero all’Abbazia dei Santi Nazario e Celso di superare i turbolenti periodi a cavallo
tra il XIV e il XV secolo finché, nel 1426, il pontefice nominò abate Antonio Barbavara, membro di una potente
famiglia nobiliare lombarda. Nei quarant’anni in cui questi ne resse le sorti, l’Abbazia venne ampiamente
ristrutturata, ampliata e ammodernata in stile gotico lombardo (in particolare la chiesa dove si trova la
tomba del Barbavara e il chiostro) e delle antiche strutture architettoniche si salvò solamente la torre campanaria.
Barbavara fu l’ultimo Abate Regolare a risiedere nel monastero; dopo di lui se ne occuparono Abati Commendatari,
dotati di poteri più limitati e che risiedevano altrove. L’Abbazia conobbe così un lento declino, pur alternato
ad alcune fasi di floridezza finché, nel 1801, le ordinanze napoleoniche ne confiscarono i beni che vennero
venduti a terzi (parte del complesso e una delle torri angolari sono tuttora di proprietà privata).
A questo lungo periodo di degrado si pose rimedio solamente a partire dalla metà del secolo scorso, quando imponenti
lavori di recupero hanno riportato a piena fruibilità l’importante complesso monastico che rappresenta uno dei
massimi esempi di arte romanica in Italia.
Il complesso è costituito da una cinta muraria, segnata agli angoli da torrette circolari, un alto campanile
romanico, una chiesa in stile gotico lombardo e un elegante chiostro con pregevole ciclo di affreschi dedicati
alle storie di San Benedetto (non dimentichiamo che l’Abbazia era affidata ai monaci benedettini). Pur avendo
perso parte dell’impianto che lo caratterizzava in origine, il monastero riesce comunque a mantenere un
considerevole fascino a cominciare dall’atrio romanico (nartece), che faceva probabilmente parte di un grande e
antico quadriportico, strutturato su due piani, che circondava un piccolo cortile.
La chiesa, ricostruita come detto dall’Abate Antonio Barbavara nel XV secolo in stile gotico lombardo, è
strutturata in un unico grande ambiente suddiviso in tre navate con strutture murarie in mattoni a vista ed
eleganti decorazioni in cotto. Dell’antica costruzione romanica sono rimaste solamente le due ali con i
portici, che sembrano interrompere la facciata principale in corrispondenza delle navate laterali. Queste sono
ciò che rimane del nartece, di cui si è detto, e che con ogni probabilità fungeva da ricovero ai pellegrini.
La facciata gotico lombarda della chiesa ha la tipica forma a capanna, ingentilita dagli archetti pensili in cotto
sotto lo spiovente del tetto, e con il portale a forma di ogiva incorniciato da decorazioni in cotto e sormontato
da un elegante rosone.
L’arredo interno è assai povero e le pareti risultano oggi quasi totalmente prive di
pitture, a eccezione di un paio di pregevoli affreschi della seconda metà del Quattrocento. Il primo di questi,
a forma di trittico con al centro San Nazario a cavallo e ai lati San Celso e Santa Caterina con San Rocco, si
trova sulla parete laterale della navata destra ed è stato commissionato dalla popolazione di San Nazzaro,
come risulta dall’iscrizione alla base. Alla fine della navata di destra, all’inizio del presbiterio, si nota
anche un secondo affresco datato 1464 che raffigura la Madonna in trono col Bambino fra i Santi Sebastiano e Agata.
Il campanile romanico, alto 35 metri, rappresenta la parte più antica del complesso abbaziale. Esso fu infatti
costruito tra il 1055 e il 1075 e si presenta come una torre possente e massiccia a pianta quadrata che,
come detto, in caso di assedio fungeva anche come struttura difensiva. Interessanti le superfici di muratura,
realizzate con ciottoli di fiume disposti a spina di pesce intervallati da file di mattoni che risalgono fin
quasi a metà della torre, mentre più in alto, per ridurre il peso della struttura, la percentuale di laterizi e
pietre si inverte. Archetti pensili in cotto ne segnano i sette piani d’altezza mentre feritoie, nei piani più
bassi, e bifore più in alto danno luce all’interno. Il campanile è staccato di un paio di metri dalla chiesa e,
al piano terra, si apre un’aula con volta a botte utilizzata un tempo come sacrestia.
L’abbazia è ovviamente anche dotata di un chiostro. Questo rivela fattezze riconducibili al XIV secolo almeno per
3 dei suoi 4 lati, mentre il quarto risulta leggermente più recente, essendo stato costruito con tutta probabilità
nel `400.
Sulle pareti del chiostro sono ancora visibili consistenti resti di un vastissimo ciclo di affreschi
quattrocenteschi, che rappresentavano un centinaio di episodi della vita di San Benedetto. Le scene seguono un
preciso programma ispirato principalmente al racconto della vita e dei miracoli del Santo, scritto da San Gregorio
Magno. Gli affreschi, che dovevano correre su due ordini sovrapposti lungo tutte le pareti del chiostro, sono
piuttosto deteriorati tuttavia quelli relativamente meglio conservati si trovano nelle lunette della volta sul
lato a ridosso della chiesa.
Non lontano da San Nazzaro Sesia si trova la Garzaia dell’Isolone di Oldenico, Riserva naturale speciale gestita
dal Parco delle Lame del Sesia, nei pressi dell’omonimo abitato. Il termine garzaia indica che sull’isola tra i
due bracci del fiume si trova un luogo di nidificazione degli ardeidi o, come comunemente viene chiamata,
una "città degli aironi". Aironi guardabuoi (che siamo abituati a vedere nei documentari naturalistici mentre
camminano tra zebre e gnù nella savana africana) e cenerini, sgarze ciuffetto, cormorani e i curiosi ibis sacri
sono le presenze più caratteristiche che si possono osservare dalla primavera inoltrata, mentre covano e allevano
la prole. Questi uccelli legati alle zone umide trovano nella vaste aree a risaia e nella fitta rete di canali
irrigui i luoghi ideali dove procurarsi il cibo, costituito per lo più da anfibi, piccolo mammiferi, e grossi
insetti e crostacei e sono ormai una presenza abituale e costante che accompagna tutto il periodo di crescita
del riso.
ACCESSO: l’Abbazia dedicata ai Santi Nazario e Celso si trova nel comune di San Nazzaro Sesia che dista pochi
chilometri a nord-est di Vercelli.
Pr raggiungerla si possono utilizzare le autostrade A 26 (Genova Voltri- Gravellona Toce) oppure la A4
(Torino-Milano). Nel primo caso si esce a Vercelli est, per proseguire in direzione Vercelli, mentre con la A4 si
esce a Biandrate-Vicolungo e si segue poi la direzione Biandrate.
Una volta giunti a Vercelli si percorrono poi la statale n. 11 o le provinciali n. 12 o n. 16 superando Borgo
Vercelli e Villata, fino a San Nazzaro Sesia.
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Testo e foto di Gian Vittorio Avondo. Pubblicato il 24.01.2020

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