San Pietro di Novalesa
Questo importantissimo monastero, dislocato su unl’area comprendente anche le isolate cappelle di S. Pietro,
S. Eldrado e S. Salvatore, sorse su precedenti insediamenti celtici e romani edificati con la funzione di presidio
lungo la via conducente al Moncenisio (non ancora molto frequentato, per la verità, nell’età classica).
L’Abbazia, il più antico convento benedettino del Piemonte (il secondo d’Italia, dopo quello di Montecassino,
ove fu stabilita la regola dell’ordine) trae la sua denominazione dal latino "Nova Lux" (secondo alcuni "Nova Lex")
ed ebbe un’origine molto incerta, probabilmente legata alla conquista carolingia dell’Italia settentrionale. Fu
infatti il nobile franco Abbone, rettore di Susa e di Moriana (Maurienne) che, secondo la tradizione (e soprattutto
secondo il Chronicon novalicense, di cui si parlerà più avanti), il 30 gennaio 726 edificò, a poca distanza da
Susa, una cella dedicata ai SS. Pietro ed Andrea, posta sotto la tutela dell’Abate Codone. È tuttavia nel
testamento di questo notabile, datato 5 maggio 739, che si trovano elencati tutti i benefici che la Novalesa ebbe
in dotazione, comprendenti l’intera Valle del torrente Cenischia, parte della Val Maurienne (Savoia), svariati
villaggi del basso e dell’alto corso della Dora e alcune regioni costiere site nei pressi di Arles e
Marsiglia. Pochi anni dopo la fondazione, ma qui entriamo nella leggenda, il cenobio ha già assunto una fama
tanto considerevole, da poter ospitare l’imperatore Carlo Magno, diretto alle Chiuse d’Italia per la battaglia
che avrebbe significato la definitiva sconfitta del suo nemico Desiderio; in questo frangente il sovrano, accorso
in aiuto di Papa Adriano I, avrebbe addirittura stabilito suo quartier generale nel recinto abbaziale e, secondo
la tradizione, sarebbe stato aiutato da un monaco del luogo (per alcuni da un giullare traditore), nell’individuare
il percorso (l’odierno "Sentiero dei Franchi") più idoneo per cogliere l’avversario di sorpresa. Grazie ai lasciti
ed alle donazioni sempre più consistenti ed all’amministrazione illuminata di alcuni Abati quali Giuseppe,
Ingellelmo, Gislado, Frodoino e soprattutto Eldrado (poi santificato ed oggi sepolto nella parrocchiale di
Novalesa; governò su ben 500 Benedettini), il monastero continuò ad estendere i suoi possedimenti, ma fu
saccheggiato e distratto nel 906, per opera di un’orda di Saraceni. A seguito di tale fatto i Benedettini
furono costretti a fuggire ed a ripararsi a Torino, ove edificarono la chiesa di S. Andrea, oggi inglobata nel
fastoso santuario della Consolata. La ricostruzione del cenobio avvenne attorno al 1000, auspice l’Abate Gezzone,
ed in seguito trovarono ospitalità nel luogo l’Imperatore Enrico IV, Federico I (Barbarossa), Papa Eugenio VII e
la salma di S. Luigi, Re di Francia, morto di peste in Tunisia nel corso di una crociata.
Caduto nell’oblio più totale il convento ritornò per un attimo alle cronache nel 1480, quando venne affidato
ad alcuni "Garanti" e di conseguenza sottratto agli Abati. Nel 1646, ancora, si sa che gli ultimi Benedettini
rimasti nel luogo furono sostituiti dai Cistercensi, mentre nel 1710, su disegno dell’Architetto militare Antonio
Bertela, Vittorio Amedeo II di Savoia fece ricostruire alcuni edifici abbaziali, modificandone radicalmente la
struttura primitiva. Più volte visitata da Napoleone I, la comunità fu temporaneamente chiusa nel 1855 a seguito
della Legge Siccardi e, nel 1861 e 1884 subì rispettivamente la vendita di tutti i beni di cui era dotata e la
trasformazione del cenobio in stabilimento idroterapico. Dopo tutte queste traversie, l’Abbazia cominciò a
rinascere nel 1973, quando l’Amministrazione Statale, proprietaria degli stabili, ne affidò la gestione alla
comunità benedettina di S. Giorgio Maggiore di Venezia. In questo periodo, vennero anche messi in cantiere
poderosi lavori di ricerca archeologica e di restauro, che non si sono ancora del tutto conclusi.
Dal punto di vista artistico la struttura è composta di un convento, di una chiesa principale, di vari altri
edifici e soprattutto delle quattro cappelle: S. Eldrado, S. Michele (S. Pietro), S. Salvatore e
S. Maria Maddalena. Tra queste, la prima conserva, al suo interno, un ciclo di preziosissime pitture romaniche
rappresentanti la vita dei Santi titolari, mentre l’ultima è decorata con alcuni affreschi di minor pregio;
importantissimi anche i dipinti, pure romanici, custoditi nella chiesa abbaziale.
Cappella di San Eldrado
Oltre ciò non dovremo dimenticare i molti reliquari, un dipinto seicentesco (la crocifissione di S. Pietro)
copia caravaggesca di un certo qual pregio, un polittico in legno di pittore ignoto, una Natività, opera di Le
Moine (1688-1737), una Deposizione di Daniele da Volterra (1509-1566) e una Adorazione dei Magi, di Rubens (1577-1640).
Cristo pantocrotare
Lapidazione di Santo Stefano
Nella grandiosa biblioteca, un tempo dotata di ben 6000 volumi, sono ancora osservabili svariati codici, ma non più
il mitico Chronicon novalicense (oggi all’Archivio di Stato di Torino), nel quale, in un suggestivo miscuglio di
storia e leggenda, è narrata l’intera storia dell’Abbazia. Nella antichissima cappelletta di S. Salvatore,
risalente al IX secolo, nel 1963 è stato allestito un sacrario militare, dedicato a tutti i soldati della
Valle morti nell’ultima Guerra, nel quale giacciono le spoglie di un Milite Ignoto, provenienti da un cimitero
dell’Albania.
ACCESSO: Da Torino raggiungere Susa percorrendo l’autostrada del Frejus o le Statali 24 e 25 di fondovalle o
l’autostrada A 32. A Susa si svolta a destra e si rimane sulla SS. 25 del Moncenisio. Descritto circa 1 Km si
abbandona la Statale e volgendo ancora a destra si seguono le indicazioni per Venaus e Novalesa (5 Km da Susa 62 da Torino).
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Testo e foto di Gian Vittorio Avondo. Pubblicato il 24.01.2020

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