Abbazia di S. Maria di Casanova - Carmagnola
Risalente al XII sec. il complesso abbaziale di Casanova si presenta oggi, all’esterno, come un grande edificio
realizzato in forme barocco-piemontese caratterizzato da una grande chiesa cui è annessa la struttura, di dimensioni
ragguardevoli, che sorge sul luogo ove fu il convento, più piccolo rispetto all’esistente. Il monastero, infatti,
a seguito di un furioso incendio che lo distrusse, fu totalmente riedificato tra il 1743 ed il 1753, su progetto di
un allievo dell’architetto sabaudo Filippo Juvarra: Giovanni Tomaso Prunotto.
Il monastero originale, come detto, fu edificato a partire dalla metà del '100 su un terreno donato dai marchesi
di Saluzzo. Come accadde per la non lontana Abbazia di Staffarda, infatti, il marchese Manfredo I donò i relativi
terreni al capitolo cistercense, affinché fossero bonificati e dissodati (pratiche in cui i cistercensi
eccellevano) per diventare sede abbaziale. Tra la fondazione ed il XV secolo, il cenobio non fece che crescere
accumulando beni conseguenti a donazioni successive, ad immunità e privilegi, garantiti dalle autorità politiche
e religiose di quei tempi.
Come già a Staffarda, anche casanova era dotata di "grange", ovvero cascine a forma quadrilatera con ampia corte,
dislocate attorno al monastero. In queste vivevano ed operavano tanto i monaci, obbligati al lavoro dalla loro
stessa regola, quanto i coadiuvanti.
La fama e le ricchezze dell’Abbazia crebbero in modo tale, da far sì che nel XVI sec. Emanuele Filiberto di Savoia
cercasse di contenerne il potere decretandone l’alienabilità dei beni. Ciò ebbe come conseguenza la spoliazione
del patrimonio da parte degli abati commendatari che, privi di controllo, operarono per accrescere le proprie
ricchezze a scapito del convento. Tra questi, sicuramente il Vescovo di Costanza card. Marco Sittico di Altemps,
il card. Maurizio di Savoia e lo stesso principe Eugenio di Savoia, vincitore di Vienna e di Torino
nel XVII/XVIII sec., abate tra il 1688 ed il 1730.
Nel 1642 Casanova fu saccheggiata dalle soldataglie calviniste durante la guerra civile. In questo caso a subire
i danni più gravi fu la biblioteca, ove furono distrutti moltipreziosi incunaboli ecclesiastici. Poi ci furono
i danni provocati dai Francesi nel 1693, durante la Guerra della Lega d’Augusta ed infine il decreto di
soppressione del capitolo, promulgato da papa Pio VI nel 1792, con il quale l’abbazia cessò di essere tale, per
diventare sede di una semplice chiesa parrocchiale. In quel momento i monaci presenti nel monastero erano
ridotti a 4.
Dal punto di vista artistico la parte di maggior interesse dell’attuale complesso è sicuramente la chiesa, in
quanto il convento, come detto, venne totalmente riedificato a metà settecento. Per quanto di impianto gotico,
la costruzione a 3 navate mostra oggi i segnidei pesanti rimaneggiamenti operati a fine ’600 su iniziativa
dell’abate Innocenzo Migliavacca. In questo frangente, infatti, furono sovrapposti stucchi sui capitelli
delle colonne che, da semplici e lineari, divennero corinzi. Le stesse colonne furono rivestite in laterizio,
mentre lungo gli archi posti a separazione delle navate, furono distribuiti a piene mani fregi floreali,
fogliami, fiori e volti di putti. Al sommo degli stessi archi, furono apposte (in modo da essere poco leggibili)
8 grandi tele del pittore Federico Cervelli (1638 - 1700), raffigurante altrettante scene della vita della
Vergine. Il pavimento della chiesa, realizzato ad inizio ’900 in piastrelle a due colori, venne a rivestire
un’antica pavimentazione in pietra di Luserna.
Lungo le due navatelle laterali sono visibili 14 stazioni della Via Crucis donate da Casa Savoia, opera di
pittori settecenteschi quali Amedeo Rapous e Giovanni Comandù.
Nell’abside una grandiosa pala dell’Ascensione, opera tardo seicentesca del pittore Cervelli, affreschi coevi,
in volta e alle pareti, di Bartolomeo Guidobono. Il coro ligneo, anch'esso di fine ’600, è opera di Giacomo
Braeri ed è caratterizzato da 23 scranni scolpiti con motivi floreali e zoomorfi. Le tribune del transetto
vennero realizzate per alloggiare il grande organo ottocentesco (a sinistra) e come palco riservato a Vittorio
Emanuele II ed alla sua famiglia che, nei loro soggiorni a Casanova, potevano da lì assistere alla messa
accedendovi direttamente dalla sala capitolare del monastero.
Ancora nell’abside, 4 cappelle disposte simmetricamente a coppie a fianco de coro, sono dedicate a S. Bernardo
e S. Benedetto (le due esterne) ed alla Vergine del Rosario e S. Giuseppe quelle interne. Anche queste sono
affrescate con motivi trompe l’oil o affreschi monocromi e policromi raffiguranti scene bibliche.
Negli ultimissimi anni del XX secolo, infine, sulla base di estenuanti ricerche è stata finalmente riportata
alla luce e risanata, la cripta abbaziale in cui venivano sepolti i monaci. Posta in un locale sottostante
il coro, al centro dell’abside la cripta si presenta oggi come un piccolo locale voltato caratterizzato da
un grande affresco di Domenico Guidobono (1668 - 1746) raffigurante, su ispirazione dell’analogo dipinto del
Correggio, il Cristo morto. Ai lati 2 allegorie della morte, effigiata in forma di altrettanti scheletri,
recanti a sinistra compasso ed astrolabio, a destra una clessidra. Sulla volta la resurrezione è
rappresentata nelle forme di due angeli, che soffiano sui defunti per farli tornare in vita.
L’attiguo monastero, come detto, fu ricostruito a metà settecento ed evidenzia oggi un chiostro grandioso,
aperto su un ampio cortile ed ornato di 48 colonne binate in granito rosa di Baveno.
Nei 2 piani fuori terra posti al di sopra del chstro, erano allocate le celle dei monaci, la sala capitolare
e gli altri servizi ad uso del monastero. Interessanti i sotterranei, recentemente recuperati, che presentano
strutture a volta di pregevole fattura. L’ex monastero (non visitabile) è oggi ad uso del Cenacolo Eucaristico
della Trasfigurazione, una casa di spiritualità torinese.
La parrrocchiale di Borgo Cornalese, una cattedrale nel deserto...
Borgo Cornalese è una frazione del Comune di Villastellone posta ad una manciata di Km da Casanova. Immerso
nel verde, caratterizzato dalla grande tenuta settecentesca dei De Maistre attorno alla quale svettano
sequoie e pioppi cipressini secolari, il borgo stupirà il visitatore per la presenza, al suo ingresso, della
grande e fastosa parrocchiale dedicata alla Madonna dei Dolori e dei Santi Barnaba ed Eugenio, collocata in
posizione isolata. La chiesa, infatti, di dimensioni decisamente insolite per un villaggio così piccolo, fu
costruita in forme neoclassiche a partire dal 1850, su disegno dell’architetto Brunati e per commissione del
Duca Eugenio Laval di Montmorency, allora proprietario del locale mulino. All’interno, oltre una splendida
statua in terra cruda raffigurante una deposizione (collocata al centro dell’abside) ed alla presenza di 4
grandi affreschi monocromi che la affiancano ai due lati, non mancherà di stupire la grande pala a grandezza
reale, che rappresenta una delle due copie esistenti dell’Assunzione della Vergine di Raffaello. La pala,
opera di Paul Emìle Barbieri, pittore nizzardo del XVIII sec. La tela fu donata dalle suore Visitandine del
Monastero della Visitazione di Moncalieri, cui venne affidata la cura della parrocchiale, alla nobildonna
consorte del committente. Nella stessa cappella in cui si trova la pala, collocata sulla destra dell’unica
navata, sono anche conservate (non visibili) alcune reliquie appartenenti a S. Giovanna Francesca di Chantal,
fondatrice nel XVII sec. dell’ordine stesso delle Visitandine (Ordine della Visitazione di Santa Maria).
Notevoli, nella chiesa, anche gli stucchi della volta del presbiterio e della cappella laterale, opera
Cattaneo, scultore e gessista dell’Accademia delle Belle Arti, collaboratore di Angelo Bruneri. Quest'ultimo,
infatti, operò nella chiesa neoclassica torinese della Gran Madre di Dio, ove spiccano volte analoghe a quelle
realizzate a Cornalese.
Accesso: Casanova si raggiunge da Carmagnola (To), procedendo lungo la SP 129 diretta a Poirino. Percorsi circa 8 Km
dal centro cittadino, sulla destra, a poche decine di metri dalla provinciale, si apre l’ampio piazzale- sagrato
della chiesa.
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Testo e foto di Gian Vittorio Avondo. Pubblicato il 24.01.2020

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