La Certosa di Pesio - Certosa di Santa Maria in Valle Pesio
Sorta nel periodo di massimo splendore del monachesimo medievale, la Certosa di Pesio venne fondata nel 1173 dal
priore Ulderico, originario di Casale Monferrato e già confratello della Certosa madre di Grenoble, che ricevette
in dono la parte alta della Valle del Pesio dalla popolazione di Chiusa e dai Signori di Morozzo.
La donazione venne fatta ufficialmente, come si legge dal documento, allo scopo di edificare un chiostro e una chiesa
"in onorem Dei Sanctaeque Virginis Mariae et Sancti Joannis Baptistae" (per onorare Dio e la Santa Vergine
Maria e San Giovanni Battista).
In realtà la realizzazione della certosa, oltre a soddisfare l’esigenza di guida spirituale, aveva anche altri
scopi. Si era al termine della lunga e dura dominazione saracena e ciò corrispondeva al rifiorire di fede e
pietà religiosa, che in quel momento vedeva negli istituti monastici luoghi ideali in cui la popolazione, oltre
all’assistenza spirituale, trovava anche rifugio e assistenza. Inoltre la presenza nella vicina Certosa di
Casotto, nella valle omonima sorta poco prima (1172), di un numero di monaci superiore ai 12 consentiti dalla
primitiva regola, indusse quel Priore a promuovere un secondo insediamento poco lontano. Questo insieme di
fattori concomitanti favorì dunque la costruzione della Certosa che, per sei secoli, concentrò in sé destino e
vicende dalla Valle.
All’inizio i monaci si stabilirono sulla riva sinistra del Pesio dove costruirono una Correria, ovvero un
complesso destinato ai membri laici del monastero, e solo qualche anno dopo, sulla sponda destra, sorse la
chiesa dedicata alla Vergine Maria e a San Giovanni Battista, primo nucleo della Certosa.
La Correria è un edificio a unl’unica aula con abside semicircolare, la cui parte bassa mantiene la muratura
originale, con pietre a taglio netto e giunti stretti. Sopra a questo primo impianto si nota una successiva
sopraelevazione i cui muri sono stati realizzati con malta, ciottoli e mattoni.
Per assicurare il sostentamento della comunità, le terre a disposizione dei monaci vennero fin da subito
suddivise in piccole aziende agricole dette grange. Il sistema era molto efficiente e all’inizio i poderi
vennero gestiti da Conversi e Donati.
Conversi erano chiamati i due laici che, con quattro chierici, furono i primi compagni di San Bruno, fondatore
dell’Ordine. Tutti cercavano l’unione con Dio nella solitudine, ma secondo modalità diverse. Salvaguardando
l’isolamento dei padri Certosini, i Conversi, che vivevano all’interno del "deserto", riuscivano così a
proteggere anche la loro stessa solitudine.
Con l’andar del tempo ai conversi si aggiunse un altro gruppo, quello dei Donati. All’inizio erano semplici
operai aggregati al monastero e tenuti solamente ad alcuni momenti di preghiera. In seguito però i Donati
vestirono l’abito monacale, conducendo una vita simile a quella dei conversi senza tuttavia vincolarsi con
voti ma "donandosi" al monastero con la promessa di servire Dio di tutto cuore.
All’inizio i valligiani appoggiarono l’insediamento della comunità religiosa, ma dopo qualche decennio i
rapporti cominciarono a deteriorarsi e sfociarono in contrasti sempre più aspri. Come al solito i motivi
furono di natura economica perché i chiusaschi si videro gradatamente privati di terre che avevano sfruttato
da sempre per il taglio della legna, il pascolo, la pesca e la raccolta dei prodotti del sottobosco. Privilegi
che, in periodi di unl’economia di pura sussistenza, potevano fomentare l’invidia, la bramosia, l’odio.
Col tempo le scaramucce si moltiplicarono fino a trasformarsi in disordini che, nei casi più gravi, sfociarono
in veri assalti alla Certosa con distruzioni e saccheggi. Violenze che indussero i padri ad abbandonare il
complesso nel 1350 e a restarne lontano per più di cinquant’anni, fino all’inizio del XV secolo. Al loro ritorno
i rapporti non migliorarono e continuarono a deteriorarsi finché, nel 1509, si verificarono nuovi disordini
scatenati dalla disputa sui possedimenti dell’odierna località San Bartolomeo, al confine tra le proprietà
certosine e quelle comunali di Chiusa Pesio. Gli scontri furono così violenti da costringere il duca di
Savoia a inviare soldati e commissari per sedare la rivolta. Questi riportarono la calma (con numerose condanne
a carico dei paesani) e restituirono al monaci il maltolto.
Da quel momento, però, pur rimanendo tesi i rapporti tra certosini e valligiani non arrivarono più allo scontro
fisico, salvo un episodio accaduto nel 1655. In quell’anno un gruppo di bravacci della Chiusa " la cosiddetta
"banda del Carnevale" " sfogò il proprio odio contro i monaci assaltando la Certosa e portando scompiglio tra
le mura del convento. Tuttavia si trattò di un episodio isolato e non del culmine di una nuova fase di scontri
fisici.
Nonostante i rapporti tesi, la Certosa era un complesso fiorente che nel 1635 monsignor Della Chiesa descriveva
come "una delle più magnifiche che siano in Piemonte " e se la fabrica del Monasterio e di sua Chiesa
consideriamo, è tale che essendo tutta cinta d’alte mura, vedendosi da lontano, appare un buon castello in cima
a questa valle situato".
Ciò che non poterono i chiusaschi riuscì invece a Napoleone Buonaparte che, decretando l’abolizione degli ordini
monastici e la confisca dei beni, costrinse i monaci ad abbandonare definitivamente la Certosa
(3 marzo 1803). Da quel momento il complesso subì un veloce degrado dovuto a furti, danneggiamenti e
all’asportazione degli arredi che vennero dispersi un po’ ovunque, come accadde per le campane d’argento oggi
al Louvre di Parigi.
Dal 1840 a fine secolo la Certosa di Pesio conobbe una breve rinascita. Acquistata dal cavaliere Giovanni Avena fu
trasformata in complesso idroterapico, frequentato tra gli altri anche da Camillo Benso, conte di Cavour,
Massimo d’Azeglio e Maria Clotilde di Savoia. Tuttavia, durante la Belle Epocque lo stabilimento non resse
alla concorrenza dei nuovi e più mondani centri sparsi in tutta Italia e fu definitivamente abbandonato.
Infine, dal 1934, i Padri Missionari della Consolata di Torino ne presero possesso dando vita a un centro
spirituale ancor oggi assai frequentato.
Tra i numerosi personaggi storici legati alla Certosa di Pesio, dallo stesso fondatore, padre Ulderico, al Beato
Ambrogio de Feis, morto alla Certosa il 30 giugno 1540, un cenno a parte merita padre Antonio Le Cocq, nato
ad Avigliana nel 1390 e ricordato per il libro delle profezie che scrisse. Un’pera importante per l’epoca
tanto che nel 1494, ben 36 anni dopo la morte del frate, l’Imperatore Carlo VIII venne a consultarlo per
conoscere i propri destini.
Nonostante le mille difficoltà incontrate, i certosini svolsero comunque un ruolo fondamentale per la vita
dell’Alta Valle e non solo nell’ambito spirituale e culturale. Essi infatti contribuirono allo sviluppo
dell’agricoltura e della pastorizia, organizzarono la rete viaria, a partire dall’attuale carrozzabile da
San Bartolomeo, e furono gli artefici della nascita di nuovi borghi e comunità quali Pradeboni, Vigna e
San Bartolomeo della Certosa. Determinante, infine, fu la loro opera di salvaguardia dell’importante
patrimonio boschivo, oggi parte del Parco Naturale dell’Alta Valle Pesio e Tanaro, una delle aree gestite
dall’Ente Parco del Marguareis.
La Certosa di Santa Maria, sepolta nel verde delle foreste di faggi e castagni che la circondano, nel suo
isolamento montano regala al visitatore quella sensazione di solitudine che eleva lo spirito fino al contatto
col sacro che i frati certosini ricercarono in quei luoghi. Il complesso, che compare quasi improvviso sulla
destra orografica del Pesio, è ricco di elementi artistici e architettonici nonostante le spogliazioni subite
nel corso dei secoli.
Chiesa inferiore
In primo luogo la facciata, col monumentale portale settecentesco e il porticato in stile barocco che lo
sovrasta. Il complesso si compone poi di numerose costruzioni variamente articolate intorno al Grande Chiostro,
di origine cinquecentesca e più volte rimaneggiato nel secoli successivi fino all`800. Aperto su un lato
verso la montagna, lungo i 250 metri di porticato sorretto da colonnine in stile romanico si aprivano le celle
dei monaci composte da un’umile stanza, una piccola cantina e un orticello col pozzo. Dal Grande Chiostro si
accede alla cappella del Priore, un piccolo locale con affreschi settecenteschi.
Chiesa superiore
Oltre al Piccolo Chiostro, primitiva costruzione della Certosa, si segnala poi la Chiesa superiore costruita
a fine `500 su un preesistente edificio del 1175, che era un vero gioiello ricco di scanni intagliati, stucchi
e pitture, molti dei quali andati perduti o trafugati. E ancora lo scalone d’ingresso, opera dell’architetto
della Corte di Savoia Giovenale Boetto, oltre ai numerosi pregevoli affreschi che si trovano in diversi punti
del complesso, alcuni dei quali sono opera di pittori famosi come Antonio Parentano e del fiammingo Jean Claret.
Accesso: La Certosa di Pesio si raggiunge da Cuneo con la statale n. 564 seguendo, all’altezza di Beinette,
la deviazione per il Parco dell’Alta Valle Pesio. La Certosa si trova una decina di chilometri dopo l’abitato di
Chiusa Pesio.
Dall’Autostrada A 6, Torino-Savona, si esce invece a Mondovì seguendo poi le indicazioni per Chiusa Pesio che dista
circa 15 chilometri.
Orari di visita della Certosa: tutti i giorni 9 – 12 e 14,30 – 18. Tel. 0171/738123.
l’Ecomuseo dei Certosini in valle Pesio
L’Ecomuseo dei Certosini nella Valle Pesio è nato con l’intento di ripercorrere le tappe più importanti della
presenza dei religiosi in valle e documentare la storia degli insediamenti, con unl’attenzione particolare
all’ambiente e al rapporto con la comunità locale.
Oltre alla Certosa di Pesio sono oggi visitabili altri tre punti significativi: la chiesa della Correria, di cui si è
detto nel testo, la Grangia del Castellar e la Fornace per la calce della Roccarina.
I ruderi della Grangia del Castellar sorgono su un poggio raggiungibile a piedi in 15 minuti lungo una strada
sterrata che si trova poco a monte dell’abitato di Chiusa Pesio. Alla fine dell’abitato, superata la sede del
Parco naturale, si apre il parcheggio dove una bacheca fornisce le indicazioni per raggiungere i resti.
Il complesso è stato recuperato dal Parco dell’Alta Valle Pesio e Tanaro ed è dotato di una grande piattaforma
in legno che permette l’affaccio sulle strutture murarie della Grangia, sulla valle e sull’anfiteatro dell’ex cava.
La Grangia, che anticamente aveva anche una cappella dedicata a Sant’Anna di cui non rimane traccia, venne
edificata nel 1206 su un sito dove si erano insediati i monaci durante la costruzione della Certosa e quindi
affidata a conversi e donati. Nel XVII secolo, quando le proprietà certosine divennero così grandi e
importanti da rendere necessario l’aiuto di personale esterno, il Castellar venne gestito da mezzadri che
avevano l’obbligo di tenere sempre aperta e transitabile la strada dalla cappella di Sant’Anna alla
Certosa e " " a far sempre dormire una persona in detto ospizio che possa quello custodire e mai dar ricovero
ad alcuno nel medesimo salvo i padri e i loro agenti".
Nel 1798, poco prima delle requisizioni napoleoniche, il Castellar veniva descritto come una "casa rustica
con cortile, seccatoio, piccola casa per religiosi della Certosa e più in alto, su una montagnetta, le fornaci,
la stalla e in piano un altro seccatoio, l’aia e l’orto", il tutto con una pertinenza di 74 giornate di terra
(una "giornata" piemontese equivale a 3.810 metri quadrati ed è suddivisa in 100 tavole).
Quattro anni dopo (1802) tutti i beni dei Certosini vennero venduti a privati e la Grangia del Castellar
fu acquistata dal conte Francesco Giordana di Peveragno.
Poco oltre la Grangia del Castellar si incontrano i resti della cava di calce della Roccarina la cui
coltivazione ha origini antiche. Ne parla infatti lo storico ottocentesco Botteri, il quale ricorda che
"una non spregevole sorgente di ricchezza ebbe per secoli il villaggio nella calce eccellente che si cavava
in abbondanza dalla pietra calcarea del colle presso Sant’Anna".
Per la verità, quella della Roccarina non era la sola cava e in zona esistevano numerosi piccoli forni che,
degradando in più ordini, sfruttavano l’andamento naturale del pendio fino al torrente Pesio.
Nel XVI secolo anche i Certosini tentarono di produrre calce nella zona della Roccarina e costruirono due
fornaci ma la reazione degli abitanti del luogo, che ne temevano la concorrenza, indussero i monaci a
rinunciare all’iniziativa.
Intorno al 1890 venne costruito un forno a fuoco continuo, capace di produrre più di 100 quintali di calce
al giorno. Il forno era fra i più grandi e moderni dell’epoca e il materiale proveniva dai fianchi della
Roccarina, scavati fino a lambire la Grangia del Castellar. La fornace, che rimase attiva fino al 1973, contava
3 bocche da fuoco chiuse con sportelli di ferro da dove si introduceva il legname e il carbone. La bocca
centrale forniva calore alla parte prospiciente mentre quelle laterali, dotate di feritoie, riscaldavano la
parte posteriore. Manovrando lunghe sbarre di ferro, ogni otto ore gli operai provocavano la fuoriuscita
della calce che veniva raccolta nel vagoncino sottostante.
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Testo e foto di Gian Vittorio Avondo. Pubblicato il 24.01.2020

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