Rappresentazione cristiana della morte in Piemonte
La morte, secondo tutte le culture del mondo, corrisponde non tanto all’uscita da un contesto,
quanto all’entrata in una condizione diversa per la quale però è necessario un cambiamento di stato,
ovvero un passaggio dalla natura materiale a quella spirituale.
Danza macabra a San Peyre Camoglieres - Val Maira
Questo concetto è talmente radicato nelle culture
più tradizionali e conservative da far sì che, in alcune di esse, il distacco dello spirito dalla materia trovi
strutture disposte ad agevolarlo. Nelle aree di insediamento walser del Piemonte, della Val d’Aosta, del Vallese,
del Liechtenstein e della Savoia, ad esempio, molte case tradizionali sono provviste di una piccola apertura
nascosta da aprirsi quando si verifica il trapasso di un abitante della casa; si tratta della cosiddetta
Seelabalgga, finestrella delle anime, attraverso la quale queste possono uscire dall’abitazione ed ascendere
verso il cielo.
Raffigurare la morte, o ricordare all’uomo la sua natura mortale, dunque, è sempre servito per esortare i cristiani
all’umiltà, alla temperanza e soprattutto alla rassegnazione. Questa consuetudine, praticata già nel medio-evo
(Memento mori " Ricordati che devi morire " era la locuzione con cui i monaci trappisti salutavano un confratello)
si esasperò negli anni della Controriforma, quando le immagini della morte, consuete già sin dai primi secoli
dell’era cristiana, divennero in molti luoghi corollario dell’arredo pubblico urbano.
Cripta sepolcrale nell’abbazia di Casanova a Carmagnola
Danza macabra - Santuario della Consolata a Saluzzo
Un momento fondamentale del ciclo liturgico in cui la caducità delle cose terrene viene evocata è rappresentato
dal rito delle ceneri, che si tiene annualmente il primo giorno (mercoledì) di Quaresima, quando il sacerdote,
tracciando un segno di croce sulla fronte dei fedeli con il dito intinto di cenere di ulivo,
mormora le parole: "Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris". Ciò in origine, doveva servire
agli uomini per fare ammenda per gli eccessi del Carnasciale (il carnevale) appena terminato, in cui la chiesa
ed il potere erano quasi sempre il bersaglio di lazzi.
Normalmente la morte era raffigurata come uno scheletro, più raramente solo un teschio, cui in taluni casi veniva
data voce attraverso un cartiglio.
Cimitero di Armeno a Novara
Cimitero di Pecetto di Macugnaga - Ossola
Famoso l’affresco trecentesco esistente nella chiesa della
Sacra di S. Michele. "La predica dei Morti", ove alcuni scheletri arringano un gruppo di personaggi tra cui
spiccano prelati e figure vestite in abiti sontuosi, ammonendo: "Eravamo come voi, sarete come noi"
Predicazione dei morti nella Sacra di San Michele
L’invito ad essere frugali ed a non appassionarsi alle cose del mondo era spesso immortalato anche sui quadranti
solari che, essendo strumenti utili a misurare il trascorrere delle ore, si prestavano ottimamente per ricordare
ai viventi che il loro tempo era a termine. Ciò avveniva attraverso le epigrafi che le meridiane stesse recavano
a commento della loro utilità e funzione, brevi locuzioni spesso espresse in latino, in italiano o in francese
(questi orologi sono tipici soprattutto delle alte valli di Susa, del Chisone o del Varaita, francesi fino al
1713, oppure delle valli transalpine del Queyras, dell’Ubaye o del Brianzonese), più raramente
in provenzale: Guarda l’ora che va al passato" ricorda ad esempio un quadrante del primo `900 a Bellino
(val Varaita).. pensa alla morte, stai preparato.
Meridiane a Celle di Bellino in Val Varaita
L’idea della morte e della sua ineluttabilità, nelle campagne di un tempo era comunque diffusa ed accettata
nel pensiero comune e nella quotidianità: "Il tempo fugge e la morte viene, beati quelli che si fan del bene".",
recita spesso la madre del protagonista Agostino, nel romanzo di ambiente langhigiano di Beppe Fenoglio
La Malora. Era questo, in tale forma o in forma leggermente diversa, uno fra i più conosciuti e motteggiati
aforismi sulla bocca dei vecchi nelle campagne piemontesi, a riscontro della loro serena rassegnazione.
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Testo e foto di Gian Vittorio Avondo. Pubblicato il 12.10.2019

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