Chiesa del Convento
La chiesa del Convento (o di Sant’Anna) costituisce, insieme con i
fabbricati annessi ed ora adibiti ad usi sociali,uno dei complessi
architettonici più interssanti del territorio sommarivese.
Le sue origini risalgono alla prima metà del 1500: risulta
infatti che nell’anno 1573, i Padri Serviti, cui erano stati
affidati chiesa e convento, insistessero presso le autorità
ecclesiastiche per potervi insediare la seconda parrocchia.
Sul luogo esisteva fin dal 1430 un pilone votivo semicircolare, con
immagine della Vergine. Negli successivi, voci di eventi miracolosi
convinsero la popolazione a costruire intorno al pilone una
poverissima cappella. Crescendo la devozione, il Segretario e
Tesoriere del duca Filippo I di Savoia, Vincenzo Gallina,
sommarivese e proprietario del terreno su cui sorgeva la cappella,
chiese al Papa Sisto IV il permesso di fondare in detto luogo un
convento da affidare all’Ordine dei Servi di Maria. La bolla papale
dell’11 dicembre 1479 assegnava l’incarico di seguire i lavori
all’Abate del Monastero di Caramagna, Giovanni del Sur.
La costruzione del convento fu iniziata subito dopo. Seguì
quella della chiesa che divenne,per alcuni anni, oggetto di vivaci
dispute sulla costruzione di una nuova Parrocchia.
Nei cinque secoli seguenti, numerose Compagnie religiose gareggiarono
nell’abbellire le singole cappelle loro assegnate all’interno della
chiesa. Nel 1737 alla compagnia del Suffragio venne concesso di
organizzare il gioco cosiddetto del "Tavolazzo" ( un tiro a segno)
ed utilizzare il ricavato a sollievo delle anime purganti.
Contemporaneamente alla chiesa, con materiali recuperati dal
preesistente pilone, fu edificata una colonna quadrata all’angolo
del piazzale ed un nuovo pilone semicircolare nel luogo ove, nel
1685 verrà costruito il santuario della Beata Vergine Maria
di S.Giovanni.
Fino al 1777 nei sotterranei e sul sagrato venivano
sepolti i defunti. Numerosi resti furono ritrovati durante il
rifacimento della pavimentazione nel 1897.
Con l’avvento di Napoleone e la soppressione degli ordini religiosi nel 1802, chiesa
e convento vennero venduti al teologo Giuseppe Antonio Alasia. Nel
1811 furono ereditati dal nipote Giuseppe Alasia, procutarore dei
poveri di S.M. che nel 1824 legò il complesso alla
Congregazione di Carità.
DESCRIZIONE DELLA CHIESA
La chiesa, realizzata in cotto a vista, si caratterizza esternamente per le
sue linee e per la semplicità degli elementi architettonici.
Di aspetto egualmente robusto è il campanile, con forme
assai regolari, tipiche delle architetture abaziali presenti sul
nostro territorio. La facciata, povera di decorazioni, si fregia
tuttavia di un interessante finestrone triforato, con apertura
centrale ed arco tondo e quelle laterali a forma rettangolare,
nonchè di un notevole portone in legno scolpito.
L’interno è costituito da navata unica a pianta rettangolare e da otto
cappelle laterali. La copertura è realizzata con volta a
botte lunettate ed archi trasversali a sesto pieno. Transetto ed
abside sono coperti con volte a crociera. All’interno delle
lunette, gli eleganti finestroni rinascimentali costituiscono uno
degli elementi di maggior interesse dell’edificio. Ai piloni
laterali sono addossate sottili lesene completate da capitelli
corinzi. Lungo le pareti maggiori, nella semplicità delle
linee architettoniche dominanti l’intera costruzione, si
inseriscono le otto cappelle oggetto di completamenti e rifacimenti
successivi, ricche di marmi e stucchi di epoca barocca. In alcune
cappelle sono appesi ex voto risalenti agli inizi del secolo
attuale.
Sul lato destro, la prima cappella contiene una tela
raffigurante la Gloria di Maria Vergine ed i frati fondatori
dell’Ordine.
La seconda è dedicata alla SS.Vergine del
Rosario di Pompei. Sull’altare un dipinto ci mostra la Vergine ed
il Bambino nell’atto di donare le corone del rosario a due Santi.
Lo sfondo è costituito da altra tela con scene della vita di
Gesù.
Terza cappella: altare con decorazioni barocche e tela
dedicata al Santo protettore degli orfanelli.
Nella quarta cappella, ricca di stucchi, statua del Sacro Cuore di Gesù
A sinistra, in nicchia, statua lignea raffigurante l’Angelo
Custode.
Ai lati dell’altare maggiore e nell’abside un ciclo di
affreschi attribuiti all’opera del pittore Padre Pozzi.
rappresentano, a partire da destra: la fuga in Egitto, la sepoltura
del Redentore, deposizione della Croce, l’incontro della Veronica,
Gesù nel tempio con i dottori, e la purificazione di Maria
SS. Il coro ligneo è estremamente povero, con panche in
legno e fondale dipinto. Quello originario, composto di splendidi
sedili intarsiati fu venduto, insieme a molti altri arredi, a
seguito dell’invasione napoleonica. Nello stesso periodo anche le
tre campane possedute dalla chiesa vennero disperse. La maggiore
ceduta al Comune di Caramagna e le altre fuse per fabbricare
cannoni.
Nel coro una lapide tombale marmorea testimonia la
presenza nella chiesa dei Padri Serviti, prolungatasi per oltre tre
secoli.
La quarta cappella sul lato sinistro è dedicata a
S.Anna e S.Giuseppe. Era anticamente affidata all’omonima Compagnia
fondata nel 1530.
Terza cappella: sull’altare statua della Vergine
Immacolata. Sul pilone di sinistra un’rsquo;immagine di S.Luisa di
Marillac cofondatrice delle Figlie di Carità di S.Vincenzo
de Paoli tuttora operanti nella vicina casa di riposo. A sinistra,
statua lignea di Maria Addolorata.
La seconda cappella riccamente
decorata contiene una tela raffigurante la B.V. Addolorata.
Nella prima cappella, da notare la volta, finemente dipinta con motivi
floreali.
Sulla porta di accesso è tuttora installato
l’antico organo, acquisito nel 1846 dalla Parrocchia. Venne
realizzato da Luigi Savina di Asti ed arricchito di vari registri
da Felice Bossi di Bergamo in occasione del menzionato
trasferimento. Altri oggetti preziosi, numerose statue ed un
magnifico Crocifisso fecero invece percorso inverso, spostate dalla
Chiesa del Convento a quella Parrocchiale.
Il pilone quadrato, posto all’angolo del piazzale antistante la chiesa, presentava ai
quattro lati altrettanti affreschi del pittore sommarivese Giovanni
Maria Borri risalenti al 1855 ed oggi completamente perduti.
Giacomo Marzo

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